Parco della Vittoria

In questi giorni se ne sono sentite di tutti i colori; ognuno, chi in
maniera argomentata e chi provocatoria, ha detto la propria opinione.
Alcuni hanno avanzato delle proposte, sottolineato dei limiti,
evidenziato dei rischi; è successo anche in Presidio, durante
l’assemblea settimanale. Altri, come sempre avviene sulle vicende
importanti, hanno fatto speculazione politica, anche se sulla vicenda
Dal Molin non dicevano una parola da mesi.

Va bene così, perché questa attenzione evidenzia l’importanza,
quantomeno nella dialettica pubblica, che assume viale della Pace. Che
nasce in un momento in cui il fatalismo sembrava diventare via via il
perno intorno a cui ruotava l’opinione diffusa sul Dal Molin; perché, di
fronte a un cantiere che avanza a tempi di record sotto i nostri occhi,
molti vedevano chiudersi ogni possibilità di mobilitazione contro la
militarizzazione che soffoca la città.
E invece, dopo mesi di iniziative che, per esempio, hanno visto
centinaia di vicentini attraversare quel territorio lo scorso 25 aprile
entrando dalla rete tagliata, viale della Pace è diventato un qualcosa
di concreto, tangibile, realizzabile; e, bisogna aggiungere,
conquistabile. Perché se è vero che l’area sarà sdemanializzata e
passata alla città, non è affatto automatico che questa sarà dei cittadini.

Ma cosa rappresenta, oggi, viale della Pace? Nell’ultimo anno abbiamo
vissuto la rabbia per l’avvio di un cantiere che abbiamo osteggiato; e
l’impotenza di fronte all’opprimente rappresentazione di forza che è
stata fatta contro la città per imporre questo progetto. Abbiamo, anche,
ascoltato le esperienze di tante donne e uomini che in ogni angolo della
terra – da Okinawa a Vieques o Diego Garcia – si oppongono alle basi
militari statunitensi, spesso con le stesse sensazioni e le stesse
emozioni che proviamo noi; e, di queste realtà, abbiamo apprezzato la
costanza e la tenacia che ha portato intere comunità a opporsi per
decenni alla presenza militare, fino a ottenere in alcuni casi la
chiusura delle installazioni di guerra.

Molti, in questi giorni, fanno finta di non vedere il nesso che esiste
tra il cantiere che avanza e l’area che sarà trasformata in viale; altri
sperano che questo sia lo strumento della riconciliazione, dimenticando
che le ferite inferte alla città e al suo territorio non sono
compensabili con alcuna opera o dono e facendo orecchie da mercante a
chi ricorda che la falda acquifera, una delle più grandi d’Europa, è in
grave pericolo.

Eppure quel territorio, situato al di qua del filo spinato statunitense,
rappresenta lo spazio di dignità della comunità vicentina. Esso, come
dimostrano i progetti statunitensi, avrebbe dovuto essere parte
integrante della base in via di realizzazione; rappresentava l’area di
espansione della servitù militare, come è avvenuto nei decenni per la
Ederle che, via via, ha conquistato nuovi terreni e palazzine. Così non
sarà, e questo ha un primo importante significato: la presenza militare
statunitense a Vicenza, seppur devastante e imponente, è monca,
depotenziata, limitata da un’area che sarà riconvertita a usi civili: la
prima in una lunga storia di militarizzazione della città.

Ma viale della Pace è un qualcosa di più che uno spazio sottratto agli
statunitensi: se, infatti, un’imposizione non è legittima solo perché
realizzata, l’opposizione alla militarizzazione e il desiderio di
realizzare una città un giorno libera dalle servitù di guerra deve
continuare a cercare nuove strade, piazze e strumenti. E, in questo
senso, viale della Pace rappresenta uno stimolo per quei tanti vicentini
che, dignitosamente, si sono da sempre battuti contro i progetti
statunitensi; fare di viale della Pace uno spazio di opposizione alla
guerra, un cantiere nel quale costruire la Vicenza libera dalle servitù
militari, un luogo che sappia rappresentare e mantenere sempre attuale
l’opposizione a una presenza ingombrante e pericolosa: questo è lo
sguardo con il quale guardiamo i 150 alberelli che abbiamo piantato
quasi tra anni fa là dentro.

Chi vuole, continui a chiamarla compensazione; chi preferisce ritirarsi
in buon ordine, come ha scritto su Il Giornale di Vicenza, lo faccia
pure; chi sente di meritarsi la nuova base statunitense resti a
guardarla crescere. Noi crediamo che i vicentini non se la meritino,
quella devastazione; ecco perché vogliamo continuare a camminare:
domandando, come ci insegnano gli zapatisti, ma anche costruendo, come
abbiamo imparato in tutti questi anni incrociando migliaia di donne e
uomini che, in Italia e nel mondo, pensano che un altro mondo va
realizzato e non soltanto immaginato.

Leggi anche "Quelli che viale della Pace non lo capiscono e vai allo
SPECIALE sul viale.

4 commenti

  1. Mah, si potrebbe anche cambiare il nome della città da Vicenza a Concordia o Peace Town, non cambia il fatto che chi ha voluto cavalcare la giusta ondata di scontento per una nuova base ora è in consiglio comunale o a gestire una lucrosa area commerciale / centro sociale.
    Quando costruiranno la centrale nucleare ci costruirete vicino via Eolica? o Largo Hiroshima?
    Parco della Pace con base americana, Viale della Pace con altra base americana… l’ennesima foglia di fico, complimenti ad Achille BalenaBianca Variati…

  2. E’ vero: Filogamo è prigioniero e non è in uno stato d’animo lieto. Ma non ha subito nessuna coercizione, non è drogato, scrive con il suo stile per brutto che sia, ha la sua solita calligrafia. Ma è, si dice, un altro e non merita di essere preso sul serio. Allora ai suoi argomenti neppure si risponde. E se lui fa l’onesta domanda che si riunisca la direzione o altro organo costituzionale del Presidio, perché sono in gioco la vita di un uomo e la sorte della sua famiglia, si continua invece in degradanti conciliaboli, che significano paura del dibattito, paura della verità, paura di firmare col proprio nome una condanna a morte.

I commenti sono chiusi.